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«Oh mio Dio, è morto?»
Non si capiva a chi appartenesse la voce che aveva fatto questa domanda, ma la risposta era chiara a tutti.
Sì, il dottor Paolo Boi era morto.
Per quanto nello studio ci fossero poche persone, era scoppiato un vero caos. A un certo punto si sentì una voce che si imponeva su tutte le altre.
«Fermi tutti, non toccate nulla, sono un poliziotto.»
Era stato il signor Greco a parlare. Anita, l’infermiera, lo aveva visto per la prima volta quel giorno, quando era arrivato, un po’ in anticipo, per la sua visita.
«Rimanete dove siete. Signorina» disse rivolto all’infermiera «potrebbe venire un attimo? Vorrei esaminare il cadavere.»
Il poliziotto si avvicinò al corpo, mentre Anita lo raggiungeva.
«Se volete» disse l’uomo che era vicino all’uscita «posso aiutarvi, sono volontario della Croce Rossa da anni.»
Anita lo guardò, cercando di ricordarsi il nome. Era il paziente che aveva appena finito la visita, il signor Riccio.
Il poliziotto fece un cenno di assenso con la testa e l’uomo si avvicinò a loro.
Anita prese un fazzoletto dalla tasca e spostò leggermente la testa del dottore. Dopo alcuni secondi, disse:
«Non penso ci siano dubbi, gli è stata tagliata la gola.»
I due uomini annuirono, poi Greco si alzò in piedi, mentre Anita posava sul bancone il fazzoletto che si era macchiato di sangue.
«Signori, come potete vedere, è stato commesso un omicidio. Io mi chiamo Marino Greco e sono un poliziotto» disse mentre mostrava il tesserino «Dal momento che nessuno è entrato né uscito da questa stanza, è chiaro che il colpevole è uno di noi.» ci furono diverse proteste, ma il poliziotto si impose con la sua voce forte «Non c’è nessun’altra spiegazione possibile, quindi ora vi chiedo di restare dove vi trovate e insieme cercheremo di ricostruire ciò che è successo.»
Nessuno disse più nulla rimase solo un silenzio carico di tensione.
Per alcuni secondi Greco studiò con attenzione gli spazi. Lo studio del dottor Paolo Boi si componeva di un grande corridoio di ingresso, che entrando presentava un bancone per l’accettazione sulla destra e un tavolo con del materiale informativo sulla sinistra. Al fondo del corridoio si trovava una stanza quadrata, più stretta rispetto a quest’ultimo, che fungeva da sala d’aspetto, con sedie lungo i muri e un tavolino al centro. Prima di entrare in quella stanza, si trovavano, rispettivamente a destra e a sinistra, le porte del bagno e dello studio del dottore. Il cadavere si trovava proprio sulla soglia di quest’ultima stanza.
«Allora» iniziò Greco «vi dirò cosa ricordo io: ero seduto lì nella sala d’aspetto, quando all’improvviso è mancata la luce. Saranno passati una decina di secondi, credo» osservò i cenni di assenso degli altri «poi, superato lo smarrimento iniziale, l’infermiera si è diretta verso il quadro elettrico, ha riacceso l’interruttore, che si trova tra il suo bancone e il bagno, e al ritorno della luce, abbiamo scoperto il cadavere. Corrisponde?»
Tutti annuirono.
«Avrei bisogno che ognuno mi dicesse il proprio nome e dove si trovava al momento del blackout.» detto questo prese dalla tasca un taccuino e una penna.
«Io mi chiamo Anita Leoni e sono, ero, l’infermiera del dottor Boi. Ero lì dietro al bancone, al mio solito posto.»
Greco la osservò, era bionda, non troppo alta e molto carina. Aveva un’aria smarrita e indifesa.
«Io sono Guido Riccio, operaio e volontario della Croce Rossa, come ho già detto. Al momento del blackout stavo avviandomi all’uscita perché avevo appena finito la visita.»
L’uomo non aveva alcun segno particolare, sembrava una persona qualunque: altezza media, aspetto semplice, una persona buona insomma. Greco tracciò un veloce schizzo dello studio del medico e iniziò a segnare le posizioni dei due.
«Lei invece?» disse rivolto all’uomo che era nel bagno.
«Io mi chiamo Danilo Chiesa e sono l’idraulico. Ero nel bagno per sostituire i rubinetti.»
Greco pensò che se mai esisteva una persona che corrispondeva allo stereotipo dell’idraulico era lui: tarchiato, con braccia muscolose e sporche e una tuta piena di macchie.
Dopo aver segnato anche la sua posizione, il suo sguardo si spostò sulla coppia che era nella sala d’aspetto. Sembravano due persone semplici, di quelle coppie tranquille, ma anche banali, noiose, che trascorrono la vita facendo sempre le stesse cose, come in un’eterna routine.
«Io sono Emilio Oliveri e mia moglie è Sara Russo» disse nervosamente «Mia moglie era seduta qui nella sala d’aspetto e io ero in piedi di fronte a lei. Ma questo dovrebbe saperlo, era seduto proprio davanti a noi.»
«Esatto.» confermò il poliziotto.
Greco rimase in silenzio per un po’, guardando alternativamente il taccuino e le varie zone dello studio.
Erano passati alcuni anni dal suo ultimo caso di omicidio e quella volta era stato banale: un delitto “di famiglia”, commesso da un padre che non era riuscito a coprire bene le sue tracce e che dopo mezz’ora di interrogatorio era crollato.
Questa volta era diverso: cinque indiziati (ad essere pignoli sei, contando se stesso) che avevano tutti la stessa possibilità di aver commesso l’omicidio.
Cominciò a spostarsi nei vari punti in cui gli altri avevano dichiarato di trovarsi e misurò in passi le distanze.
Dopo un po’ che andava avanti e indietro, si rese conto che tutti lo fissavano.
«C’è qualcosa che volete dirmi?» chiese.
«Non dovremmo avvertire la polizia?» chiese il signor Oliveri con voce tremante, mentre la moglie annuiva in maniera nervosa.
«Sì, avete ragione.» ammise Greco. Prese in mano il cellulare, ma vide che non c’era campo. Si girò verso l’infermiera, che disse subito:
«Qui i cellulari non prendono, è sempre stato così. Posso provare dal telefono, speriamo solo che funzioni perché da qualche giorno va a singhiozzo.»
Anita prese in mano il telefono, ma dopo pochi secondi lo mise nuovamente giù.
«Niente da fare, possiamo riprovare fra poco. Per ora siamo isolati.»